martedì 2 marzo 2010

Franco Nones: "I fondisti giovani e promettenti ci sono, basta avere il coraggio di lanciarli in Coppa"

FONDO - Lo sci di fondo è una delle discipline dalle quali ci si aspettava di più dai Giochi di Vancouver, soprattutto considerato il bottino raccolto quattro anni fa con 4 medaglie, di cui 2 d’oro. Per analizzare i risultati ottenuti in Canada e capire come rilanciare il settore ci siamo rivolti a Franco Nones, prima medaglia d’oro degli sci stretti a Grenoble 1968 nella 30 chilometri.

Come giudica la spedizione azzurra del fondo a Vancouver 2010?
“E’ una questione di aspettative. Si sapeva già alla vigilia che sarebbe stato difficile ripetere Torino 2006. Quindi io non parlerei di delusione. Le medaglie potevano arrivare da 2 uomini e 2 donne. Giorgio Di Centa e Pietro Piller sono atleti affidabili, però bisogna ricordarsi che mentre dai 30 ai 35 anni la parabola del fondista tende ancora verso l’alto, dai 35 in su le prestazioni calano”.

La stagione di Coppa, partita in sordina e mai decollata, è stata giustificata dalla scelta di programmare la preparazione, come ribadito più volte dallo staff tecnico, finalizzata all’appuntamento olimpico. Cosa non ha funzionato?
“I più forti, come dimostra Petter Northug, vincono dalla prima all’ultima gara, Olimpiadi o Coppa non cambia. Lo stesso vale per gli svedesi o Marit Bjørgen e Justyna Kowalczyk. Pensare di puntare solo ai Giochi non ha senso. Io stesso nella stagione dell’oro di Grenoble, nelle precedenti 11 gare non avevo fatto peggio di un quarto posto. I nostri tecnici devono avere più coraggio nel fare certe scelte e lasciare a casa gli atleti che non vanno. Ai miei tempi il 20° posto di un giovane aveva più valore del 10° posto di un veterano".

Si dice però che in Italia non ci sia ricambio. Lei cosa ne pensa?
“Chi dice che non ci sono i giovani nel fondo, mi dovrebbe spiegare quando è stata data loro la possibilità di misurarsi con gli avversari di Coppa, per capire davvero quali sono le proprie potenzialità? Faccio un esempio su tutti, quello di Nicola Morandini (25 anni di Predazzo, tesserato per le Fiamme Gialle), considerato uno sprinter, arrivato 7° sui 70 km in alternato dell’ultima Marcialonga. Sempre in questa stagione è stato due volte 2° ai campionati italiani. Mi pare che siano risultati sufficienti da giustificare un’opportunità. I tecnici non devono aver paura di lanciare i giovani anche sulle distanze lunghe. A tal proposito non mi spiego perché siano partite solo due ragazze (con 4 posti disponibili) nella 30 km di Vancouver? Come non ho capito la scelta di non schierare nella staffetta femminile Magda Genuin. Se è competitiva nelle sprint individuali e a coppie lo è anche su 5 km. Dare fiducia nel modo giusto paga. Lo dimostra quello che ha fatto Silvia Rupil in staffetta. Non le è bastato tenere la Steira ma è riuscita a cambiare in testa”.

Cosa deve cambiare per migliorare le cose?
“E’ una questione di mentalità. Non ci si deve accontentare di arrivare. Non si deve aver paura di sbagliare, altrimenti è difficile raggiungere traguardi importanti. Il ct e gli allenatori dovrebbero avere più autonomia rispetto ai corpi militari per non dover giustificare a qualcuno, ogni 15 giorni, le loro scelte. Quando ero atleta io a capo del settore c’era Vittorio Strumolo, che ha portato al Mondiale di boxe gente come Mazzinghi, Loi e Benvenuti. Con lui la Sei giorni di Milano ha vissuto il suo periodo d’oro. Il nostro allenatore, lo svedese Nilsson non sapeva neppure sciare. Lo chiamavamo “Alce”. Eppure nessuno come lui riusciva a prenderci nel modo giusto”.

Allenatori più psicologi?
“Esatto. Mi ricordo che alla vigilia delle Olimpiadi di Grenoble, 4/5 giorni prima delle gare era prevista una prova di selezione interna. Sono arrivato ultimo, dietro anche a un compagno di nazionale della combinata. I giornalisti, allarmati, tra cui Rolly Marchi e Gianni Clerici, chiesero spiegazioni all’allenatore, che invece non si era neppure posto il problema, ne tanto meno io. Quella gare per me non contava niente. Da ragazzo ricordo che finivo spesso gambe all’aria in discesa. Uno dei miei primi allenatori mi fece passare la paura di cadere con una semplice consiglio: "Non ti preoccupare se cadi in discesa, pensa piuttosto a vincere la gara in salita". E' proprio così che sono riuscito ad arrivare davanti algi altri in più di un’occasione”.

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